Nel panorama della cultura artistica romana tra Otto e Novecento, nel perpetuarsi della tradizione e il rinnovamento decorativo Art Nouveau, emerge la personalità del reatino Antonino Calcagnadoro, nato a Rieti nel 1876 da una famiglia sensibile all’arte.

E’ suo padre Cesare ad introdurlo al mestiere di pittore e nel 1887, terminato il primo grado di scuola, il giovane si perfeziona nelle discipline pittoriche potendo contare sull’appoggio dello zio canonico che lo sostiene anche economicamente. Tra il 1890 e il 1891, esordisce come assistente nella decorazione della cupola del teatro Flavio Vespasiano di Rieti, a fianco del maestro Giacomo Casa. L’opera è andata distrutta a seguito del terremoto del 1898. Continua la collaborazione col suo maestro e approfondisce la sua formazione a Roma, privatamente, fino a raggiungere il diploma presso il Regio Istituto delle Belle Arti, nel 1898. In questi preziosi anni romani conosce e frequenta diversi artisti. Nel periodo 1900-1904 riceve il suo primo incarico di rilievo: la decorazione della casa parrocchiale di San Rufo a Rieti e, a seguire, quella della cappella del Crocifisso in cattedrale. Seguono interventi anche nel ternano di chiaro stile liberty.

Nel 1905 iniziano le prestigiose commissioni reatine: la decorazione a tempera del Palazzo Sanizi, seguita, nel 1909, dalla celebre realizzazione delle Allegorie nella Sala Consiliare del Comune di Rieti, raffiguranti le Arti, i Mestieri, la Giustizia e l’Agricoltura. Il ciclo, nello stile a tratti tiepolesco, esalta l’essenza della cultura reatina per la sua tradizione genuinamente rurale. La decorazione, arricchita da arredi in chiaro stile liberty, non è lontana dalle assonanze della Secessione viennese, dalla tecnica sbrigliata e acquerellata che interpreta la dimensione idilliaca della vita contadina. In quel periodo l’artista rafforza il rapporto professionale con l’architetto-ingegnere Cesare Bazzani, progettista del nuovo palazzo comunale e di successivi importanti progetti romani a cui darà compimento nella maturità. Tra il ’10 e il ’13 riceve un altro pubblico incarico: la pittura del “comodino” (un grande telo collocato dietro al sipario del teatro cittadino) con La resa di Gerusalemme a Vespasiano. Di questi anni densi di commesse si segnala la decorazione pittorica del villino a Collebaccaro (Contigliano) del celebre tenore Mattia Battistini. Certamente significativa è l’ambiziosa competizione per la decorazione del Vittoriano a Roma, scaturita dalla necessità di celebrare i prima 50 anni del Regno d’Italia. I soggetti richiesti furono: la Visione, il Risveglio, il Rinascimento, la Preparazione, l’Olocausto, il Risorgimento, la Nuova Italia. Calcagnadoro realizzò gli otto bozzetti che prevedevano una futura traduzione a mosaico; il pittore non vinse la gara, ma ricevette una menzione d’onore.

Nel 1916 dipinge con tempera a secco presso il foyer del teatro reatino la decorazione con le Muse illustranti il Dramma, la Tragedia, la Commedia, la Danza, l’Opera lirica. Gli eventi bellici lo conducono sul fronte e si dedica alla illustrazione di riviste d’arte. Nel 1918 si trasferisce a Roma intraprendendo l’insegnamento presso la Scuola preparatoria alle Arti Ornamentali e, nella maturità, presso la Scuola Libera del Nudo. Tra i suoi allievi si segnala Mario Mafai della Scuola Romana. Il Calcagnadoro ebbe anche degli incarichi assolutamente prestigiosi a Roma, grazie al Bazzani, con la realizzazione di opere pubbliche: nel 1928 decora il salone di rappresentanza del Ministero della Pubblica Istruzione, con un ciclo pittorico chiaramente allusivo ai grandi della civiltà italiana che illustra, come in una summa, il valore unificante della conoscenza per la costruzione della Nazione attraverso l’educazione. A quella decorazione seguì, nel biennio 1929-1930, l’altrettanto significativa pittura del salone d’onore del Ministero della Marina e la decorazione per l’ingresso dell’Ospedale di Santo Spirito.

Tutta la vita del Calcagnadoro è accompagnata da una copiosa e mai interrotta produzione di pittura da cavalletto a olio e acquerello. Il pittore si misura con le tendenze contemporanee rimanendo fedele alla tradizione figurativa di matrice liberty e alle sperimentazioni tecnico-paesaggistiche post-impressioniste, come si vede nelle frequenti vedute della città antica, nei temi legati alla tradizione del realismo e del lavoro nelle fabbriche, nelle frequenti vedute del paesaggio locale.  Durante gli anni 1923 e 1924, l’esperienza di un viaggio in nord Africa, a Tripoli, lo spinge a rappresentare paesaggi del deserto e della vita locale, riscoprendo una tavolozza più chiara e solare.

Muore nel 1935, ma poco prima riceve note di apprezzamento da casa Savoia che culminano nel titolo di Grande Ufficiale della Corona d’Italia. Nel 1937 gli eredi del pittore donano al comune una cospicua collezione di lavori oggi visibili presso la sala Calcagnadoro della Pinacoteca.